Editoriale: Roberto Sbiroli - Libri antichi e prospettive per il patrimonio librario

É difficile parlare e scrivere di libri in questi giorni. In seguito all'esplosione dell'affaire Girolamini di Napoli che ha portato all'arresto di Massimo De Caro e di alcuni suoi sodali, l'attenzione dei media si è rovesciata sul mondo dell'antiquariato librario. 

Giornali e televisioni, spinti dal clamore che può suscitare nell'opinione pubblica un furto di circa 4.000 libri antichi, hanno realizzato numerose inchieste. Alcune delle quali inappuntabili, mi riferisco ad esempio a una recente trasmissione condotta da Oliviero Beha su Rai3. Altre molto discutibili, mi riferisco al lungo pezzo di Conchita Sannino uscito su Repubblica nei primi giorni di Novembre. Altre ancora surreali, mi riferisco a una recente puntata di Geo & Geo, trasmissione peraltro solitamente sobria e gradevole, ma un conto è parlare di natura e un altro è parlare in modo pertinente di libri antichi.

Quando accadono episodi di questo tipo è necessario e deontologico cercare di raccogliere informazioni a 360°, piuttosto che sparare nel mucchio. É corretto raccogliere informazioni sul versante giudiziario, limitatamente all'evoluzione delle indagini, come è altrettanto corretto interpellare gli operatori di settore, quando al centro dell'argomentazione viene a trovarsi il libro in quanto oggetto di mercato.

Abbiamo visto e letto di tutto: fantomatiche edizioni del valore di svariati milioni di euro, singole pagine di libri del valore di svariate migliaia di euro, decine di bande russe attive sul suolo nazionale, ecc. Si vuole pervicacemente marcare la differenza tra chi i libri li conserva in nome e per conto dello Stato e chi i libri li commercia professionalmente. É indispensabile fare una premessa. Il mercato del libro antico esiste da secoli, in Italia e in tutta Europa. Straordinarie figure della nostra storia sono stati librai antiquari. Ne voglio citare solo due: Leo S. Olschki e Umberto Saba. Ma è sempre stato un mercato di nicchia e rimarrà sempre un mercato di nicchia, con un fatturato complessivo risibile, se paragonato a qualsiasi altra categoria merceologica o settore dell'economia. Ogni contrapposizione ideologica appare strumentale, è invece necessario ragionare in termini di responsabilità. Quando si verifica un furto di libri o più in generale di opere d'arte le responsabilità sono molteplici. Sono coinvolti i politici, i conservatori, i commercianti e i collezionisti. Nel caso di specie, De Caro è stato nominato alla direzione della Biblioteca dei Girolamini dal Ministro dei Beni Culturali Galan, senza avere titoli e requisiti per la nomina. E fa riflettere che anche il padre conservatore della biblioteca sia agli arresti domiciliari. É appunto una questione di responsabilità.

I crescenti tagli pubblici hanno ridotto le biblioteche in una condizione di estremo disagio. Quando lo Stato, nei fatti, dimostra disinteresse verso il patrimonio culturale, è normale che anche il personale viva con un senso di crescente smarrimento la professione. Dobbiamo affidarci alla dedizione e alla passione dei singoli, stante la crisi del sistema. Il paradosso della situazione italiana è questo. La logica dei tagli a settori potenzialmente molto produttivi - non dimentichiamo che numerosissime persone visitano o vorrebbero visitare l'Italia proprio grazie al nostro straordinario patrimonio culturale - determina vuoto di responsabilità, cattiva conservazione e carenza nei controlli.

La nostra storia, anche in riferimento ai beni culturali, è purtroppo costellata di episodi di malaffare e cattiva gestione. La carenza di mezzi costringe gli addetti del settore, almeno quelli "fedeli" e motivati (e sono la stragrande maggioranza) a sobbarcarsi carichi di lavoro insostenibili. E di contro migliaia di ragazzi o ex-ragazzi hanno studiato, ottenendo con sacrifici titoli e requisiti, nella legittima speranza di un impiego. Gli edifici storici in alcuni casi sono fatiscenti, non voglio nemmeno accennare al caso di Pompei, perché è davvero una situazione troppo penosa e imbarazzante per poterla liquidare in poche righe. Insomma, di conservatorismo in Italia si muore.

Tornando alle biblioteche faccio una piccola provocazione. Il patrimonio librario italiano è immenso. Esistono istituzioni che dispongono di numerose copie della medesima edizione. Accertata l'assenza di postille o di elementi distintivi che precludano di fatto l'alineabilità anche dal punto di vista scientifico, trovo incomprensibile che non si consenta alle biblioteche la possibilità di alienare le quarte, quinte, seste, settime (ecc.) copie allo scopo di recuperare fondi per acquistare opere mancanti, contribuire a bonificare gli edifici e magari agevolare nuove assunzioni. Nel mondo anglosassone questo è possibile. A chi si ostina a negare ogni cambiamento e a chi evoca l'assoluta inalienabilità dei beni librari rammento che ad esempio anche il British Museum adotta questo sistema. E non mi sembra si tratti di un'istituzione allo sbando. Sarebbe sufficiente organizzare dei comitati scientifici all'interno delle biblioteche e, una volta individuati i libri alienabili, questi andrebbero semplicemente messi in vendita in aste internazionali specializzate. Non si risolverebbero certo i problemi del settore, ma è il principio ad essere un fattore determinante. Una parte importante spetta anche alla digitalizzazione, strumento imprescindibile per garantire libero accesso alle fonti e tutela del patrimonio librario. I libri non vanno aprioristicamente paragonati ad altri beni culturali in quanto sono beni multipli.

Alcuni ispirati comuni italiani, facendosi carico della ristrutturazione di edifici storici, hanno garantito nuovi posti di lavoro e creato nuovi spazi per il turismo e per i turisti. Altri esempi non mancherebbero, ma tornando al tema della responsabilità, è impossibile non individuare nella classe politica italiana, la massima responsabilità del degrado. L'intangibilità della legislazione è un alibi inaccettabile. E affinché cambi la politica deve innanzitutto cambiare il modo di pensare del singolo cittadino. Non pubblico contro privato o privato contro pubblico, ma pubblico e privato insieme per costruire un futuro sostenibile, rinunciando alla macabra tentazione di limitarsi a conservare il passato. Amor librorum nos unit.

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