25 Aprile: tra storia e attualità

"Il passato è passato e non si cambia". Chissà quante volte abbiamo sentito questa frase. Il passato di ognuno di noi non si cambia; se ne può, al più, far tesoro per non incorrere negli stessi errori, nel presente e per il futuro. Ma non cambiarne i fatti. Invece sembra vada di moda giustificare certi atteggiamenti presenti, spacciandoli come coerenti e dirette conseguenze di un passato che viene riletto e riadattato alla bisogna, per renderlo (esso, l'immodificabile) adatto al presente che si vuole. É una delle chiavi, una delle modalità di "insinuazione" del revisionismo.

Ma veniamo al tema, altrimenti troppo (e inutilmente) lunghe premesse ci porterebbero lontano. Il 25 Aprile. Che sia una "festa di tutti" lo si può anche accettare. Occorre però capire chi siano i "tutti". Si dibatte infatti sulla appartenenza delle brigate partigiane all'una o all'altra fazione politica, si vorrebbe dire che i partigiani erano "rossi" e che volevano un futuro "comunista" o di "socialismo reale" per il paese, e siccome il comunismo fu nefasta dittatura tanto quanto il fascismo, allora il futuro democratico della repubblica fu in realtà una liberazione dagli uni e dagli altri (l'una, vera liberazione, l'altro, scampato pericolo e quindi tutto sommato liberazione), e quindi ora, a conti fatti e col senno del poi, il 25 Aprile è la festa di tutti. Cose da inorridire!
Non solo lo storico, ma anche il comune cittadino dotato di un briciolo di senno e di capacità meramente logiche capisce che l'argomentazione non soddisfa e non è condivisibile. Non è il caso qui e ora di puntualizzare pedantescamente sulla composizione delle brigate partigiane o sul loro orientamento politico, o sul futuro politico che quei combattenti avrebbero desiderato per il loro paese, ché tanto si è detto e scritto, se non con sufficiente analisi critica e storica, perlomeno con adeguata dovizia di particolari cronistici. Basti solo considerare (e i testimoni sono ancora vivi e vegeti) che in quegli anni (1943, post 8 Settembre - 1945, convenzionalmente 25 Aprile) erano ben altre le urgenze: urgenza di liberazione dalla occupazione tedesca, urgenza di liberazione dalla oppressione del regime fascista. Ma anche e soprattutto urgenza di vivere, di portare a casa la pelle ogni sera, di dar da mangiare ai figlioli. Poco importava se chi era con te era "rosso", "bianco" o "verde": i mesi dell'esperienza partigiana ebbero senza dubbio il colore e il sapore della riconquista della libertà, perché libertà si è voluto chiamare tutto ciò che non era nazifascismo!
"Festa di tutti": si dice ora, anche dalle più alte sfere governative. Giusto, festa di tutti, dico da osservatore degli umori di una società che si prepara a celebrare anche quest'anno il 25 Aprile. Ma voglio capire chi sono quei "tutti": perché "tutto" mi è sempre sembrato troppo. Nei "tutti" non possono essere compresi coloro che ancora oggi inneggiano agli innominabili nazifascisti (e ce ne sono...); in quei "tutti" non ci possono essere gli strumentalizzatori della storia e chi vuole trasformare in terrorismo la lotta partigiana. Tra quei "tutti" non devono esserci quegli antisemiti che ancor oggi non sentono una fitta al cuore dell'Europa e della storia, aperta dal genocidio nazifascista. Dovranno essere esclusi da quei "tutti" coloro che ritengono che una buona dittatura sia migliore della peggiore delle democrazie (parafrasando Sandro Pertini). Infine, per il futuro, escluderei da quei "tutti" i delinquenti, i malfattori di ogni genere, specie, razza, colore (politico, non di pelle).
Non so se ho sfrondato abbastanza, ma tolti quelli che ho tolto, il 25 Aprile è, sì, con convinzione, la "festa di tutti".