Il mito di Cipresso e le sue lacrime eterne - di Carlo Picca

Il mito di Cipresso  e le sue lacrime eterne - di Carlo Picca

Il cipresso, che è considerato per eccellenza l'albero che si pianta in omaggio ai defunti ed è presente in ogni cimitero nostrano, è anche un fusto largamente diffuso nel nostro territorio, al punto da essere anche fra i principali ceppi fonte di allergia, e chi soffre della sua produzione di polline nei mesi di febbraio e marzo, con congiuntiviti e riniti, sa a cosa mi riferisco.

Il suo fascino è davvero indiscutibile e non a caso il grande Van Gogh, in una lettera, ebbe modo di affermare: I cipressi sono sempre nei miei pensieri. Vorrei farne una tela come i quadri di girasoli e mi stupisce che nessuno li abbia ancora fatti come io li vedo. Sono belli come linee e proporzioni e somigliano ad un obelisco egiziano e il verde è così particolare.

Ma non tutti forse sanno che sulla sua nascita esiste una bellissima e commovente leggenda che lo rende, con il suo mito, molto vicino e sacro agli Dei dell'Olimpo. A tal proposito, fra le più antiche notizie sulla sua origine c'è senza ombra di dubbio quella che proviene dall'autore latino Ovidio, (43 a.C. 18 d.C.), il quale nel libro X delle Metamorfosi descrivendo i fusti di diverso genere, annovera tra essi il cipresso, facendo menzione ad una favola legata al culto di Apollo, Dio greco della musica e della poesia.

Il poeta, in questo capitolo (vv. 106-142), racconta infatti che nelle campagne di Cartea viveva Ciparisso, il fanciullo più bello della gente di Ceo e  molto amico del figlio di Zeus. Questo giovane adone aveva un'amicizia senza pari con un cervo gigantesco e sacro alle ninfe di quel luogo, che amava portare sempre a nuovi pascoli e agli specchi d'acqua delle fonti più pure.

Un cervo magnifico, che con le sue corna smisurate velava d'ombra profonda il suo stesso capo, amato da tutti e che senza alcuna paura accedeva nelle case di chiunque, porgendo il suo collo, per farsi accarezzare, anche dalle mani degli sconosciuti. Se non che in un funesto giorno, stanco, il cervo adagiò il suo corpo sul terreno erboso, godendosi la frescura che gli veniva dall'ombra degli alberi. E qui, senza volere, Ciparisso lo trafisse con la punta del giavellotto: come lo vide morente per l'aspra ferita, decise di lasciarsi morire.

Egli infatti fu così addolorato dall'aver condannato a morte il suo bellissimo animale che sprofondando in un'angoscia incontrollabile, implorò ad Apollo, di consentire che le sue lacrime scorressero per sempre. Il Dio acconsentì, così che il ragazzo fu trasformato in un albero maestoso, e la sua resina vegetale a forma di goccioline del tutto simili a lacrime. Le sue membra cominciarono a tingersi di verde e i capelli, che gli spiovevano sulla candida fronte, a mutarsi in ispida chioma che, sempre più rigida, svetta, assottigliandosi in cima, verso il cielo trapunto di stelle.

Da allora, connotato dalla sua verticalità sempre verde, ed il suo imponente erigersi verso l'alto, il Cipresso è il simbolo non solo dello strazio luttuoso ma soprattutto dell'accesso all'eternità, perché accarezzando il cielo dalla terra dove s'innalza, fonda un contatto denso di emozioni fra chi non c'è più e chi con il suo inconsolabile dolore vuole riavvicinarsi per sempre al defunto amato.

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