Il Tractatus represaliarum di Bartolo da Sassoferrato

Il Tractatus represaliarum di Bartolo da Sassoferrato

La paternità del Tractatus represaliarum di Bartolo da Sassoferrato sembra fuori discussione.

In almeno dieci luoghi dei suoi commentaria, Bartolo accenna esplicitamente al trattato sulle rappresaglie. Da queste corrispondenze emergono questioni di portata considerevole. Nel commento alla l. provinciales, ff. de verborum significatione (D. 50, 16, 190), Bartolo esprime la sola intenzione di compilare un trattato sul tema delle rappresaglie; nei rimanenti nove luoghi egli rimanda al trattato come già compilato. Due dei sopraccitati passi sono riportati da Tommaso Diplovatazio nella sua additio al trattato bartoliano: oltre al commento alla l. provinciales, il Diplovatazio si riferisce a quello alla l. nam et Servius, ff. de negotiis gestis (D. 3, 5, 21). Si tratta di commentari rispettivamente al Digestum Novum ed al Digestum Vetus, commentari questi, la cui paternità mai è stata discussa dalla storiografia. Forti dubbi di paternità invece suscitano i commentari ai tres libri del Codex e soprattutto al corpus delle Autentiche. A dimostrazione della particolare diffusione goduta dal trattato va ricordato che già pochi anni dopo la data di stesura, Alberico da Rosciate, nell'Opus statutorum, lo menziona così: «De istis represalijs fecit unum pulchrum tractatum Bart[olus] de Saxoferrato qui mihi postea superuenit, et ponam in fine operis, ad eius laudem». L'additio non c'è pervenuta; nel caso contrario ci avrebbe forse consentito di chiarificare diverse questioni poste dalla tradizione manoscritta e in primo luogo quelle riguardanti il proemio. Altra questione che emerge alla luce dei numerosi rimandi al trattato presenti nei commentari è la datazione. Il proemio longior, che si legge nelle edizioni a stampa e nella quasi totalità dei manoscritti appare come la redazione 'ufficiale' e definitiva, resta però la possibilità che il trattato avesse circolato in precedenza privo di proemio o con un proemio più breve. Considerando la data di compilazione definitiva (1354) e la data della scomparsa di Bartolo (1357), fa quantomeno riflettere che la quasi totalità dei rimandi consideri il trattato già compiuto. Andrebbe comunque verificata quale tradizione manoscritta abbia portato alla stesura delle edizioni a stampa. Un'ipotesi è che le stampe riportino le lecturæ finali di Bartolo; nel caso contrario la tesi sopra esposta troverebbe nei rimandi ulteriore conforto. Ulteriori dubbi vengono determinati proprio dalla presenza del proemio non nella totalità dei testimoni manoscritti ad oggi individuati. Il cod. St. Omer 539 ed il cod. Vaticano Latino 2641 non riportano alcun proemio, mentre il cod. Vat. Lat. 2589 esordisce con motivi che non coincidono con quelli del proemio riportato dalle stampe e presente nella quasi totalità della tradizione manoscritta. Emerge, da una prima comparazione, solo l'accenno all'impero romano in relazione al verificarsi del fenomeno delle rappresaglie. Occorrerebbe anche in questo caso verificare l'eventuale esistenza di testimoni, peraltro ad oggi ipotetici, in grado di farci ricondurre ad una tradizione ben definita. La lettura del testo del trattato, comparata alle fonti dottrinali e soprattutto agli stessi commentari bartoliani, offre la possibilità di costatare quanto sia arduo comprendere il legame tra le tesi contenute e la restante dottrina coeva. Il ponte con l'umanesimo giuridico ed il clima politico in radicale trasformazione, determinano, nel tempo, un'incidenza mutevole del fenomeno delle rappresaglie. Già guardando alle posizioni del coevo Baldo ci giungono gli echi di un'impostazione che non sembra collimare perfettamente con quella bartoliana. Siamo di fronte ad un difficile tentativo di disciplina giuridica, reso ancor più complicato proprio dalla forte incertezza politica dell'epoca. La struttura del Tractatus represaliarum conferma quanto Bartolo stesso fosse conscio di queste difficoltà: la ricerca di precisi riferimenti teologici e filosofici, posti alla base delle teorie giuridiche, è sintomatica. La dottrina delineata è in ogni modo imponente e suffragata dai commentari a Digesto e Codice giustinianeo. In definitiva comunque la tradizione manoscritta conferma la coincidenza, almeno dottrinale, con l'edizione a stampa. Possiamo inoltre desumere che in questo caso, a differenza del De tyranno, Bartolo avesse come esigenza primaria la sistemazione definitiva di teorie già esposte diffusamente in decine di commentari. Suffragano questa tesi anche i dubbi sopra esposti in relazione al proemio: Bartolo sembra aver realizzato con il Tractatus represaliarum il culmine di un vasto percorso dottrinale. In altri trattati, soprattutto nel De tyranno, spicca invece l'originalità delle teorie inserite nel testo; mancano infatti i commentari che ci potrebbero consentire d'intravedere l'esigenza di mera risistemazione. Molte questioni rimarranno irrisolte sino al compimento di una compiuta edizione critica del trattato. La sua diffusione fu vastissima: a testimonianza di ciò vi sono i sessantasei manoscritti ad oggi individuati. Proprio l'ampia circolazione di questi trattati ha portato la storiografia a trascurare l'esigenza di giungere a testi il più possibile certi. Per rendere proponibili future traduzioni italiane e quindi la diffusione del pensiero politico dei giuristi tardo medievali non si può prescindere dallo strumento filologico. Ulteriore quesito che pone questo tipo di ricerca è valutare l'opportunità di considerare il trattato bartoliano come termine iniziale oppure finale in relazione all'evoluzione di un istituto giuridico. In questo caso è prevalsa la prima opzione: proprio in considerazione dell'affievolirsi del fenomeno delle rappresaglie con il delinearsi degli Stati nazionali, si evince quanto centrali siano i temi dello Stato, della sovranità, della legalità. La disciplina giuridica che determina come conseguenza diretta una prassi sempre più desueta è certamente un esito accertabile con la lettura dei testi giuridici tardo medievali. Nel testo bartoliano la disciplina del diritto di rappresaglia si delinea in dieci quæstiones: oltre alla liceità delle rappresaglie e alle cause di concessione, Bartolo affronta l'aspetto giurisdizionale, le modalità di concessione, la legittimazione attiva e passiva, l'estensione della rivalsa alle proprietà del reo, le modalità d'esecuzione ed infine i rimedi adottabili. Oltre alla precisa disciplina tecnico-giuridica del diritto di rappresaglia il trattato bartoliano ritorna su vicende centrali come il diritto di cittadinanza, il diritto allo studio, la tutela giuridica di figure come l'ambasciatore, il religioso, la donna. Il Tractatus represaliarum rappresenta un elemento di comprensione irrinunciabile per cogliere il passaggio fra tardo medioevo e primo umanesimo e la 'fortuna' che lo caratterizzò sino al pieno XVII secolo ci consente di riscontrarne l'importanza nell'evoluzione della scienza del diritto internazionale privato. Roberto Sbiroli

Il Giurista italiano Bartolo da Sassoferrato (1314 - 1357-07-13), discepolo di Raniero Arsendi da Forlì e di Cino da Pistoia fu uno dei più insigni giuristi dell'Europa continentale del XIV secolo nonché il maggior esponente della scuola giuridica definita "dei commentatori".