Ugo Foscolo - Ultime lettere di Jacopo Ortis - 13 Maggio 1798

Brani scelti: UGO FOSCOLO, Le ultime lettere di Jacopo Ortis (Colli Euganei, 13 Maggio 1798).

S'io fossi pittore! che ricca materia al mio pennello! L'artista immerso nella idea deliziosa del bello addormenta o mitiga almeno tutte le altre passioni. - Ma se anche fossi pittore? Ho veduto ne' pittori e ne' poeti la bella, e talvolta anche la schietta natura; ma la natura somma, immensa, inimitabile non la ho veduta dipinta mai. Omero, Dante e Shakespeare, tre maestri di tutti gl'ingegni sovrumani, hanno investito la mia immaginazione ed infiammato il mio cuore: ho bagnato di caldissime lagrime i loro versi; e ho adorato le loro ombre divine come se le vedessi assise su le volte eccelse che sovrastano l'universo a dominare l'eternità. Pure gli originali che mi veggo davanti mi riempiono tutte le potenze dell'anima, e non oserei, Lorenzo, non oserei, s'anche si trasfondesse in me Michelangelo, tirarne le prime linee. Sommo Iddio! quando tu miri una sera di primavera ti compiaci forse della tua creazione? tu mi hai versato per consolarmi una fonte inesausta di piacere, ed io la ho guardata sovente con indifferenza. Su la cima del monte indorato da' pacifici raggi del Sole che va mancando, io mi vedo accerchiato da una catena di colli su' quali ondeggiano le messi, e si scuotono le viti sostenute in ricchi festoni dagli ulivi e dagli olmi: le balze e i gioghi lontani vanno sempre crescendo come se gli uni fossero imposti su gli altri. Di sotto a me le coste del monte sono spaccate in burroni infecondi fra i quali si vedono offuscarsi le ombre della sera, che a poco a poco s'innalzano; il fondo oscuro e orribile sembra la bocca di una voragine. Nella falda del mezzogiorno l'aria è signoreggiata dal bosco che sovrasta e offusca la valle dove pascono al fresco le pecore, e pendono dall'erta le capre sbrancate. Cantano flebilmente gli uccelli come se piangessero il giorno che muore, mugghiano le giovenche, e il vento pare che si compiaccia del susurrar delle fronde. Ma da settentrione si dividono i colli, e s'apre all'occhio una interminabile pianura: si distinguono ne' campi vicini i buoi che tornano a casa: lo stanco agricoltore li siegue appoggiato al suo bastone; e mentre le madri e le mogli apparecchiano la cena alla affaticata famigliuola, fumano le lontane ville ancor biancicanti, e le capanne disperse per la campagna. I pastori mungono il gregge, e la vecchiarella che stava filando su la porta dell'ovile, abbandona il lavoro e va carezzando e fregando il torello, e gli agnelletti che belano intorno alle loro madri. La vista intanto si va dilungando, e dopo lunghissime file di alberi e di campi, termina nell'orizzonte dove tutto si minora e si confonde. Lancia il Sole partendo pochi raggi, come se quelli fossero gli estremi addio che dà alla Natura; e le nuvole rosseggiano, poi vanno languendo, e pallide finalmente si abbujano: allora la pianura si perde, l'ombre si diffondono su la faccia della terra; ed io, quasi in mezzo all'oceano, da quella parte non trovo che il cielo.
Jer sera appunto dopo più di due ore d'estatica contemplazione d'una bella sera di Maggio, io scendeva a passo a passo dal monte. Il mondo era in cura alla Notte, ed io non sentiva che il canto della villanella, e non vedeva che i fuochi de' pastori. Scintillavano tutte le stelle, e mentr'io salutava ad una ad una le costellazioni, la mia mente contraeva un non so che di celeste, ed il mio cuore s'innalzava come se aspirasse ad una regione più sublime assai della terra. Mi sono trovato su la montagnuola presso la chiesa: suonava la campana de' morti, e il presentimento della mia fine trasse i miei sguardi sul cimiterio dove ne' loro cumuli coperti di erba dormono gli antichi padri della villa: - Abbiate pace, o nude reliquie: la materia è tornata alla materia; nulla scema, nulla cresce, nulla si perde quaggiù; tutto si trasforma e si riproduce - umana sorte! men felice degli altri chi men la teme. - Spossato mi sdrajai boccone sotto il boschetto de' pini, e in quella muta oscurità, mi sfilavano dinanzi alla mente tutte le mie sventure e tutte le mie speranze. Da qualunque parte io corressi anelando alla felicità, dopo un aspro viaggio pieno di errori e di tormenti, mi vedeva spalancata la sepoltura dove io m'andava a perdere con tutti i mali e tutti i beni di questa inutile vita. E mi sentiva avvilito e piangeva perché avea bisogno di consolazione - e ne' miei singhiozzi io invocava Teresa.